(Dal libro “Artefici o Vittime di A. Corsano)
Quello sugli interferenti endocrini è un argomento che merita di essere conosciuto da tutti e non solo da chi, come Marta, è in attesa di un bambino. Con l’espressione “interferenti endocrini” si intende l’effetto di alcune sostanze chimiche di sintesi con gli assi ormonali endogeni e la conseguente comparsa di varie patologie. A partire dagli anni ‘90 è cresciuto l’interesse intorno a questo argomento che nel 2010 è stato definito “area prioritaria di ricerca” dalla WHO (World Health Organization). Queste sostanze, che alterano la normale funzionalità ormonale dell’apparato endocrino, causano, come afferma la Enviromental Protection Agency (EPA), “effetti avversi sulla salute dell’organismo esposto, della sua progenie o di popolazioni.” Parliamo di inquinanti organici, derivati industriali, metalli pesanti, pesticidi, componenti della plastica e ormoni sintetici e naturali. Tutti composti chimici strutturalmente eterogenei ai quali l’uomo è esposto attraverso l’ambiente e l’alimentazione.
A proposito di alimentazione, emblematico è il caso dei cosiddetti POP (Persistent Organic Pallutants, contaminanti organici persistenti), che sono presenti in alimenti contenenti grasso e che una volta ingeriti vengono accumulati a livello del tessuto adiposo, rimanendo lì per anni (con il rischio di passare in circolo nel caso si adotti una dieta restrittiva e si perda peso in modo brusco). Senza contare poi la possibile presenza di pesticidi, metalli pesanti e derivati industriali nell’acqua. Per questo è necessario prestare attenzione al consumo di pesce.
In generale il pesce è un alimento molto raccomandato dagli esperti, ma spesso vengono omesse informazioni importanti. Una di queste è legata ai pesci di grossa taglia.
I predatori al vertice della catena alimentare (vedi tonno e pesce spada), i grandi pesci grassi (come il salmone e l’anguilla), o il pesce allevato con mangimi, accumulano maggior quantità di metalli pesanti e diossine. Meglio consumare pesce azzurro come sarde, alici, e sgombri che hanno anche un alto contenuto di omega 3.
Gli interferenti endocrini, anche quelli più rapidamente degradabili (come il bisfenolo A e gli ftalati) hanno una diffusione così pervasiva e continua, che le loro tracce sono state riscontrate nell’urina del 92,6% di cittadini americani e nel 50% dei campioni di tessuto adiposo mammario delle donne.
La preoccupazione legata alla presenza di queste sostanze riguarda non solo l’alimentazione, ma anche i prodotti di uso comune: tessuti, oggetti di plastica, detergenti di uso quotidiano. I bambini rischiano di più perché dispongono di meccanismi di disintossicazione enzimatica immaturi, hanno una funzionalità incompleta degli organi escretori (reni e fegato) e presentano bassi livelli di proteine capaci di legare le sostanze tossiche. Il sistema riproduttivo poi è il bersaglio principale della maggior parte degli interferenti endocrini. Queste sostanze, in caso di esposizione prenatale, possono aumentare il rischio di disturbi come disgenesia testicolare e oligospermia (entrambi legati alla riproduzione maschile).
Nell’ottobre del 2012 il Ministero dell’Ambiente e per la Tutela del Territorio e del Mare, ha prodotto e diffuso un decalogo che illustra i rischi derivanti dall’esposizione a sostanze chimiche presenti in oggetti di uso quotidiano. A questo proposito particolare attenzione meritano gli ftalati, che sono una famiglia di composti chimici a uso industriale, e i perfluorati, che si trovano soprattutto sui vestiti e stanno contaminando i fiumi di tutto il mondo. Grazie alla pressione dei genitori e dei consumatori, alcuni marchi hanno iniziato il percorso verso l’eliminazione delle sostanze tossiche dalla loro filiera.
Le conseguenze dannose sulla salute che derivano dal contatto con gli interferenti endocrini sono svariate: problemi di fertilità maschile, endometriosi e abortività precoce nella donna, disturbi dello sviluppo neuro-comportamentale nei bambini, diabete, obesità e predisposizione allo sviluppo di tumori della mammella o della prostata.
Senza mettere troppo in allarme Marta, ma cercando di informarla in maniera corretta ed esaustiva, mi soffermo più nel dettaglio sulla questione degli interferenti endocrini in gravidanza.
Migliaia studi scientifici hanno messo in evidenza i gravi danni causati da molecole mimetiche, metalli pesanti ed altri inquinanti sullo sviluppo neuro-endocrino dell’embrione. Nel novembre del 2006 un importante articolo pubblicato su The Lancet ha rilanciato la tematica della “pandemia silenziosa” di alterazioni neuro-psichiche ai danni di circa il 10% dei bambini dei paesi sviluppati. Un problema immenso, che ricercatori di tutto il mondo hanno segnalato a partire già dai primi anni ‘60. Marta non nasconde una certa preoccupazione per quello che ha ascoltato e mi confessa di sentirsi piuttosto vulnerabile. Cerco di tranquillizzarla dicendole che la conoscenza di certi dati, anche se dolorosa, è uno strumento utilissimo per proteggere se stessi e i propri figli. Inoltre la rassicuro sul fatto che le sue recenti scelte di vita garantiranno senz’altro una vita sana e felice al suo bambino.
“Cambiando argomento, cosa sai di mutazioni genetiche, Marta?” le chiedo di punto in bianco.
“Quasi niente, solo che hanno ispirato un sacco di film dell’orrore.”
Bene, direi che è il momento giusto per parlare di epigenetica. L’epigenetica viene generalmente definita come “la scienza che studia le modificazioni trasmissibili della funzione dei geni non associate a cambiamenti della sequenza del DNA.” Tali modificazioni, indotte da diversi agenti ambientali, fanno sì che alcuni geni funzionino in maniera diversa, mentre altri non funzionino affatto. Crolla così un dogma centrale della genetica, che individuava nelle diversità dei cromosomi la causa delle differenze funzionali tra l’assetto genetico di diversi individui. In che modo le modificazioni epigenetiche possono cambiare la funzione del DNA senza modificarne la sequenza? Esistono svariati meccanismi di variazione epigenetica, tra cui quelli che riguardano la modificazione istonica e la produzione di piccole molecole di RNA. Senza dimenticare il meccanismo più conosciuto, ovvero la cosiddetta metilazione del DNA. Ad ogni modo, questi sono tutti strumenti epigenetici che gestiscono l’espressione genica. Un esempio recentissimo degli effetti epigenetici è legato alla storia di due gemelli monovulari (portatori quindi di un genotipo identico), Scott e Mark Kelly.
I due sono omozigoti (hanno cioè lo stesso DNA) e sono accomunati anche dalla professione: l’astronauta. Hanno quindi condiviso molte esperienze e hanno vissuto, di fatto, vite molto simili. In occasione di una loro missione sono stati sottoposti a uno studio che ha raccolto vari parametri tra cui la lunghezza dei telomeri e lo stato del microbioma. Il loro viaggio presentava però una grande differenza: Mark avrebbe trascorso in tutto cinquantaquattro giorni nello spazio, mentre Scott ben due anni (o quasi). Dai primi risultati è emerso che Scott, a differenza di Mark, presentava alcune alterazioni nell’espressione genica e nella metilazione del DNA. Questo caso dimostra come l’ambiente sia in grado di modificare l’attività dei nostri geni.
Ma questa non è l’unica novità. È stato infatti verificato che nel caso le alterazioni epigenetiche dovute alla esposizione ambientale avvengano a carico degli spermatozoi o degli ovuli, gli effetti di tali alterazioni possano manifestarsi nella prole dell’individuo. Si configura una diversa suscettibilità a varie patologie dell’età adulta come obesità, ipertensione e diabete. In sostanza, la maggiore suscettibilità a queste patologie, in alcuni casi sarebbe da attribuirsi non solo allo stile di vita dell’individuo ma anche a quello dei suoi genitori.
Uno dei fattori ambientali capaci di indurre modificazioni epigenetiche è sicuramente l’alimentazione. Anche in questo caso, per illustrare meglio il concetto è utile raccontare una breve storia. Torniamo indietro di un po’ di tempo, precisamente alla Seconda Guerra Mondiale. La città di Amsterdam era stata sottoposta all’embargo da parte dell’esercito tedesco. A causa della carestia seguita a tale embargo migliaia di persone persero la vita, ma il governo olandese organizzò un razionamento di viveri di cui venne meticolosamente tenuto un registro. A sessant’anni dal termine della guerra un gruppo di ricercatori recuperò tutti i conti e rintracciò i soggetti che erano stati generati nel periodo di carestia, ovvero quelli i cui genitori avevano subito le conseguenze della malnutrizione nel momento della fecondazione. Lo studio di questi soggetti dimostrò alterazioni nei livelli di metilazione del DNA del sangue rispetto ai soggetti generati al di fuori del periodo di carestia. Inoltre, fu osservato che il primo gruppo di soggetti mostrava una maggiore predisposizione a patologie quali il diabete o la schizofrenia.
Ma un ruolo altrettanto importante nella modificazione epigenetica lo giocano anche gli inquinanti ambientali, il fumo, lo stress, e il cosiddetto shiftwork, ossia l’abitudine di stravolgere i ritmi circadiani (soprattutto il ritmo sonno-veglia) per motivi di lavoro.
Gli effetti dagli agenti ambientali sulla salute dell’uomo rappresentano una vera e propria rivoluzione, un cruciale punto di svolta nelle nostre convinzioni riguardo al ruolo svolto dagli agenti ambientali sulla salute umana. Presto queste conoscenze potranno fornire indicazioni utili per scongiurare la comparsa di patologie non solo nell’individuo, ma anche nella sua prole.