Dal libro “Artefici o Vittime. Una storia per imparare a prendersi cura del proprio corpo”  – 78Edizioni

Acquista il libro dall’Editore:

Antonio Corsano – Artefici o Vittime. Una storia per imparare a prendersi cura del proprio corpo

 

 

Come è possibile che la farina bianca sia quella più diffusa, ma allo stesso tempo anche quella più dannosa?”

   Per capire come le farine siano un elemento riconducibile a molti disturbi (almeno negli ultimi cinquant’anni) è necessario fare un accenno alla storia dell’agricoltura.

   La forma primordiale di grano era il piccolo farro che, con incroci naturali, nell’arco di millenni si è trasformato in farro medio, di cui tra l’altro si parla nella Bibbia. Il grano cresceva selvatico e veniva raccolto a mano dagli uomini. Dopo il 1940 il grano è stato modificato, in modo da incrementare la produttività e ridurre i costi; questo è stato fatto senza verificare se le nuove caratteristiche fossero compatibili con la salute umana. Gli incroci genetici hanno prodotto piante molto più basse rispetto alle piante alte, quelle ondeggianti al vento dei grani antichi. In questo modo risultava più facile utilizzare i macchinari agricoli per la trebbiatura e si poteva ridurre di molto la manodopera umana. La resa per ettaro aumentava (insieme con lo sviluppo di mais e di soia) e l’idea di ridurre la fame nel mondo diventava più concreta.

   La conseguenza più importante di queste ibridazioni sulla salute umana è stata quella di ottenere delle farine con più alto contenuto di glutine, molto più malleabili e adatte alla trasformazione industriale.

   Negli ultimi cinquant’anni i medici e i dietologi hanno consigliato di ridurre gli zuccheri semplici (dolci, bibite zuccherate) e i grassi, invitando però a consumare  carboidrati (pasta, pane) composti da catene (polimeri) di zuccheri. In questo modo è aumentato il carico di glutine che giunge a livello della mucosa intestinale e che porta alle conseguenze che già abbiamo visto.

   Un recente studio ha dimostrato che la gliadina contenuta nel grano induce la produzione di una proteina chiamata zonulina, che regola la permeabilità intestinale. La zonulina porta al rilassamento delle giunzioni serrate tra le cellule intestinali, che dovrebbero fungere da barriera. La gliadina e altre molecole alimentari passano così nel sangue. I linfociti T (cellule di difesa) vengono attivati e innescano una risposta immunitaria che nei soggetti predisposti può scatenare delle reazioni allergiche, mentre in tutti gli altri può dare inizio ad un processo infiammatorio contro le proteine che fanno parte dell’organismo. In questo modo si generano disturbi come la celiachia, problemi tiroidei e problemi articolari.

   La gliadina quindi può essere considerata come un passe-partout che apre le porte a livello della mucosa intestinale e permette ad intrusi indesiderati di penetrare nell’organismo.     

   È opportuno precisare che anche altri batteri con i loro prodotti possono determinare lo stesso effetto della gliadina.

Non è tutto, perché l’aumentato consumo di carboidrati complessi ha innescato anche altri meccanismi.

   Non sono solo il pane e la pasta ottenuti con le farine bianche a provocare disturbi, ma anche le merendine, i biscotti, i grissini, i cracker e le brioches. Tutti alimenti che contengono grassi alterati e che contribuiscono ad intensificare lo stato infiammatorio dell’organismo. Ma come agiscono questi cibi?

   In condizioni fisiologiche “standard”, i grassi normali entrano nelle cellule ed attivano delle molecole dette PPAR (Peroxisome Proliferator Activation Receptor) che hanno lo scopo di far produrre al DNA cellulare, mediante trascrizione, gli enzimi lipolitici, ovvero gli “smontatori” dei grassi. Se però i grassi che entrano nelle cellule sono grassi alterati come quelli contenuti nelle merendine, si legano comunque ai PPAR ma non riescono a indurre la trascrizione enzimatica nel DNA cellulare. I nostri “smontatori di grassi quindi non vengono prodotti e questi ultimi sono liberi così di accumularsi nelle cellule (e quindi nell’organismo) senza poter essere eliminati. La conseguenza, come abbiamo detto, è uno stato di infiammazione.