A proposito di sovrappeso-obesità.

Il sovrappeso è sempre stato considerato segno di debolezza e indice di debole fibra morale. 

Sono le stesse persone che vivono questa condizione a vederla così e ad auto-accusarsi di scarsa volontà. Ma questa è una concezione che va assolutamente cambiata. È necessario in primo luogo dissuaderle dal punirsi per la loro “colpa” ingurgitando calorie, perché così facendo innescano un circolo vizioso da cui poi è difficile uscire. È molto semplice: mangio, metto su chili, peggioro l’immagine che ho di me, mi sento male con me stesso, mi consolo mangiando. E così via.

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Come abbiamo detto, le decisioni sono coscienti ma le abitudini no. Le parti inconsce (abitudini) del cervello sono state allenate a chiedere cibo, mentre la parte conscia (decisioni razionali) non vorrebbe. Ma vediamo come funziona il circolo vizioso abbuffata-rimorso-abbuffata da un punto di vista fisiologico: gli ormoni (soprattutto la leptina) che dovrebbero indicare che la persona ha soddisfatto la propria fame, vengono soppressi o controbilanciati da altri ormoni (soprattutto il cortisolo, ormone dello stress) che segnalano invece un appetito vorace, stimolando la produzione di grelina da parte dello stomaco.

La grelina, per intenderci, è l’ormone della fame, quello che stimola l’appetito, ed è prodotta dallo stomaco. Questa disregolazione nella produzione di grelina sembra dovuta a meccanismi cerebrali (ipotalamo). È proprio l’eccesso nella produzione di questo ormone a far sì che la maggior parte delle persone che dimagriscono grazie ad una dieta non riescano poi a mantenere per almeno due anni il peso raggiunto.

Ma non si tratta di una strada senza uscita.

Un modo per conservare il peso conquistato nel tempo c’è eccome. È necessario, prima di tutto, uscire dal circolo vizioso a cui accennavo prima. E per farlo bisogna intervenire sui circuiti celebrali, in cui spesso vige un certo squilibrio. Questa situazione sbilanciata tende a rafforzare le aree responsabili dei comportamenti impulsivi e ad indebolire le aree che governano i processi decisionali. La ripetizione di modelli negativi danneggia anche il processo decisionale, perché quando ci si rimprovera o si sente di aver fallito, le parti inferiori del cervello (inconscio) soverchiano la corteccia cerebrale.

L’equilibrio mentale non si ripristina facendo scelte autolesioniste, ma scelte volte ad alimentare la propria autostima. Smettere di cercare nel cibo una ricompensa emotiva è, per esempio, un ottimo modo per iniziare. Una volta ripristinato l’equilibrio, il cervello tenderà naturalmente a preservarlo. La caratteristica unica del cervello, infatti, è la sua capacità a funzionare a doppia modalità di controllo. I processi vengono eseguiti da un pilota automatico ma, addestrandoli a operare nel modo voluto, saranno controllati dalla volontà e dal desiderio.

Attenzione, non si tratta di puntare solo sulla forza di volontà. La chiave sta nel trasformare il messaggio “è così che dovrei mangiare” in “è così che mi piace mangiare.” In questo modo si evitano gli obblighi e risulta tutto più allettante. L’obiettivo è raggiungere l’appagamento, non sottrarlo, rendendo così la preparazione del pasto e il suo consumo un’esperienza gioiosa.

Eppure ricercare con accuratezza gli ingredienti, prepararli e trovare un modo creativo per combinarli è un’ottima strategia per trarre energia positiva e tranquillità. Senza contare che alla fine di tutto il procedimento ci si può gustare quello che si è preparato.